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15 agosto 2013 festa triennale a Marano in onore della Vergine della Salute.

festa triennale a Marano Lagunare in onore della Vergine della Salute

Dal testamento della sposa Elena Cepile nel Settecento.
Era usanza che le spose lasciassero in forma testamentaria ogni loro avere ai fratelli, ai nipoti, in un matrimonio senza figli,  ma soprattutto alla Scuola o confraternita che gestiva la Chiesa della B.V. dell’Albero. Così ha fatto testamento la sposa Elena Cepele. Elena aveva sposato Vincenzo Felippo, di qualche anno più vecchio e insieme avevano accumulato una discreta fortuna. Il 16 Novembre del 1738, dieci giorni prima di morire, volle fare testamento, decidendo di lasciare per iscritto ad un commissario veneto le sue ultime volontà. Prima di tutto voleva essere sepolta in San Vito, senza cassa e vicina all’ultimo consorte, poi mancando i figli riconferma l’usanza di restituire la dote alla casa dotante. L’intera sua dote del valore di 100 ducati vuole che sia restituita ai suoi fratelli, Giacomo e Francesco Cepele, supplendo in ogni caso con ogni sorte di mobili la consistenza del valore. Dimostra un grande affetto verso i fratelli, ai quali lascia cento lire di piccoli cadauno, che andranno ad affrancare il debito che insiste sulla loro casa verso la Scuola di San Zuanne, per cancellare una specie di moderno mutuo bancario.
Lascia a sua cognata Vicenza 10 ducati una tantum, per gratitudine dell’assistenza prestatale durante l’ultima e le altre malattie.
Lascia ai fratelli sopracitati due secchi di rame cadauno mentre la caldiera di lissiva sarà di uso comune. Lascia una valesana a suo fratello Giacomo e una zuppa (giubba) a suo fratello Francesco.
Una ulteriore prova di riconoscenza verso i suoi cari la fornisce quando ordina al commissario che gestirà le sue volontà di lasciare a Francesco Scoffo, figlio di sua sorella Lucrezia, lire 100 se queste saranno impegnate per l’acquisto di una barca e poche arti (attrezzi e reti) necessarie alla pesca.
Stabilisce di voler lasciare per ragione di legato a Francesca, figlia di Giacomo, suo fratello, 4 camicie, 1 di renso e 3 di canevo, delle più corte, perché così comporta la sua statura, le lascia pure un paio di lenzuola di lino e due filletti di cordon d’oro, che dovranno essere consegnati il giorno in cui si sposa, oltre a una coltra, e se questa morisse prima di maritarsi, il commissario farà ciò che gli è stato raccomandato a voce. A suo nipote Francesco lascia una camisiola d’Indiana e un paio di braghesse di panno color cenerino.
Disse poi di lasciare alle fiozze Zuanna, figlia di Clemente Reggeni, una camicia di lino e questa per pegno di parentela spirituale, per averla tenuta al Sacro Fonte. Alla fiozza Antonia Canciano, lascia un carpetto verde senza maniche, alla fiozza Antonia Padoan lascia una camicia di lino, e alla fiozza Maria, di Zaccaria Del Forno, un’altra camicia di lino.
Alla Confraternita di San Vito lascia 10 ducati, con l’obbligo di far cantare una messa il terzo giorno dopo la sua morte. Alla Confraternita del Carmine lascia altri 10 ducati una tantum, con l’obbligo di far celebrare una messa cantata il mercoledì dopo la sua morte.
Infine lascia erede universale di qualunque suo avere la Confraternita della B.V. dell’Alboro di questa fortezza, includendo mobili, stabili, denari, livelli (affitti), crediti, ragioni ed azioni, a patto di far celebrare in perpetuo una messa annuale nella chiesa della B.V. dell’Albero.
In quella chiesetta posta all’entrata della fortezza esisteva un’antica statua della Vergine risalente al Cinquecento, ritenuta miracolosa e che a Marano da molti anni si traduceva in festa il 21 Novembre con spari di giubilo dalle arcate della torre medievale.
Da alcuni decenni in qua la festa è divenuta triennale (per ragioni climatiche) e il giorno 15 agosto Marano si riempie anche di  ventimila visitatori. Quella sera migliaia di occhi saranno rivolti alla barca illuminata che trasporta l’antica statua, il canale rispecchierà i colori dei fuochi d’artificio, generando un inusuale bagliore, le fiaccole accese ai lati, trasportate dai sommozzatori ne faranno una cornice da ricordare durante gli anni che mancano alla prossima festa.
(ASU,CRS, b.269, anno 1738).

A cura di Maria Teresa Corso